La Condizione Istruttiva e Sociale delle Donne nell'Ottocento
Nessuna donna poteva ambire ad alcuna carica istituzionale, poiché considerata priva degli stessi requisiti razionali degli uomini e dello stesso bagaglio culturale. L’istruzione scolastica, per le appartenenti alle famiglie benestanti, raramente era indirizzata verso l’esercizio di professioni di prestigio al di fuori, per esempio, dell’insegnamento. Talvolta garantiva solo un’alfabetizzazione di base o, addirittura, era assente. Nelle classi subalterne, l’istruzione, opportunità trascurabile perfino per i maschi, era ritenuta del tutto inutile per i compiti che le donne erano chiamate a svolgere.
Alla fine del 1800, l’Italia registrava una media del 78% di analfabeti, con picchi massimi vicini al 90% nel Sud e nelle isole. Ancora nella prima metà del 1900, quando era iniziato un lento ma inesorabile processo di alfabetizzazione generale, alle donne erano precluse innumerevoli possibilità di affermazione sociale. Nel mondo contadino materano, come in tutte le società del passato, gli uomini predominavano sulle donne, ritenute meno valide sul piano della forza fisica e, soprattutto, delle capacità intellettive. Ritenute incapaci di svolgere autonomamente qualsiasi compito connesso al potere decisionale, erano destinate principalmente a ricoprire il ruolo di mogli e madri. Questo atteggiamento ideologico misogino della società affondava le sue radici molto lontano nel tempo (Aristotele) ed era giunto intatto fino all’età moderna.
Ideologie e Influenze Culturali sulla Condizione Femminile
Pensatori come Moebius, Weininger, Lombroso ed altri avevano tentato di giustificare lo stato di soggezione economica, sociale e giuridica delle donne con argomentazioni “naturali” più che storico-sociologiche. Importante, in tal senso, è da considerarsi il ruolo della Chiesa, sempre impegnata nel limitare il ruolo della donna all’interno della società e sostenitrice del modello familiare patriarcale. Questa convinzione era fortemente presente anche nelle classi sociali dominanti che auspicavano per le proprie donne un percorso di vita avente come meta un vantaggioso matrimonio con esponenti di famiglie dello stesso rango o una “carriera” religiosa altrettanto favorevole.
La visione della donna come inferiore era così radicata che permeava ogni aspetto della vita sociale e culturale. Le donne erano spesso considerate inadatte a compiti che richiedevano forza fisica e capacità intellettive, limitandosi a ruoli domestici. Anche nelle famiglie benestanti, l’istruzione era vista come mezzo per migliorare le capacità domestiche piuttosto che per emancipare e preparare le donne a ruoli professionali di rilievo. Questo contesto storico-culturale dimostra come le opportunità per le donne fossero fortemente limitate, e la società preferiva mantenerle in uno stato di subordinazione attraverso varie forme di controllo, sia ideologico che istituzionale.
Restrizioni Legali e Sociali delle Donne nel XX Secolo
Il Regio Decreto n. 2480 del 9 dicembre 1926 escludeva le donne dalle cattedre di Lettere e Filosofia nei Licei e dall’insegnamento di diverse materie negli Istituti Tecnici e nelle Scuole Medie. Questo decreto seguiva il Regio Decreto n. 1054 del 6 maggio 1923 (Riforma Gentile), che vietava alle donne la direzione delle Scuole Medie e Secondarie. Negli anni successivi, con il Regio Decreto n. 989 del 1939, si precisavano ulteriormente gli impieghi che potevano essere assegnati alle donne, sia a livello statale (dattilografa, stenografa, bibliotecaria e altre attività di mero servizio) sia a livello privato (commesse addette alla vendita di articoli femminili, per l’infanzia, casalinghi, sanitari e simili). Nello stesso anno, Ferdinando Loffredo, economista e studioso sociale, scriveva in “Politica della famiglia”: «La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere provata solo nella famiglia…».
In definitiva, le donne erano escluse dalla vita politica e sociale, relegate alla sfera privata. Questa condizione era comune in tutto il territorio nazionale e oltre: solo nel 1945 fu riconosciuto alle donne italiane il diritto di voto. Questa mentalità si rifletteva anche nel linguaggio: risolvere un problema “alla femminile” significava affrontare situazioni senza logica, ma con espedienti empirici o intuizioni innate. Questo atteggiamento ideologico misogino aveva radici antiche e persistette fino all’età moderna, quando pensatori come Moebius, Weininger, Lombroso e altri giustificavano la subordinazione economica, sociale e giuridica delle donne con argomentazioni “naturali” piuttosto che storico-sociologiche. La Chiesa aveva un ruolo significativo, limitando il ruolo delle donne nella società e sostenendo il modello familiare patriarcale.
La Condizione Femminile nel Mondo Contadino
Nel mondo contadino, l’inferiorità delle donne era evidente fin dalla nascita. Un figlio maschio era accolto con esultanza dal padre, mentre una bambina era considerata un peso, paragonata a una “cambiale”. Questo perché non poteva lavorare nei campi come i maschi e richiedeva maggiore vigilanza per la sua integrità morale. La percezione della sua inferiorità rispetto all’uomo portava a un diverso criterio di valutazione delle azioni, soprattutto in ambito morale. La donna era vista come un peso fino al matrimonio, quando veniva affidata dal padre al marito-tutore in uno scambio tra uomini che la consideravano un oggetto senza possibilità di scelta.
Nonostante ciò, la moglie era il fulcro dell’economia familiare, responsabile indiscussa della gestione domestica. I suoi ruoli includevano anche lavori agricoli minori, come la spigolatura, la vendemmia e la raccolta delle olive. Coltivava l’orto, allevava animali da cortile, vendeva uova e si dedicava a lavori di filatura, rammendo, ricamo e maglieria per far fronte ai bisogni della famiglia. In caso di vedovanza o assenza del marito per guerra o emigrazione, la sopravvivenza della famiglia dipendeva da lei. In situazioni particolarmente impegnative, come malattie, parti e lutti, si attivava un rapporto di mutuo soccorso tra le donne. Sebbene considerate inferiori, le donne svolgevano un ruolo cruciale nel mantenimento dell’equilibrio e della sopravvivenza della famiglia contadina.
Lavoro, Vita Sociale e Emancipazione delle Donne nel Mondo Contadino
L’impiego delle donne in lavori agricoli che non richiedevano competenze specifiche sviluppava in loro versatilità e adattabilità. Le attività esterne all’ambito domestico erano svolte di sera nel vicinato, spazio comune in cui le donne potevano uscire dall’isolamento e relazionarsi con le vicine, stabilendo rapporti di mutuo soccorso per affrontare lavori, malattie, parti e lutti. Tuttavia, la stessa comunità esercitava un feroce controllo sociale. L’onore e il rispetto dipendevano dai giudizi dei vicini, mentre il disprezzo e i pettegolezzi spesso causavano tensioni e isolamento sociale, per fortuna reversibili.
Le vite maschili e femminili erano caratterizzate da una netta separazione degli spazi di lavoro e svago. Gli uomini potevano uscire nel tempo libero per incontrare amici in piazza o nelle cantine pubbliche, mentre le donne erano limitate al vicinato. Le mogli dei piccoli e medi proprietari si occupavano della gestione domestica, delegando i lavori più faticosi a chi occupava i gradini più bassi della scala sociale. Paradossalmente, il benessere rafforzava l’immagine maschile e allontanava la donna dagli impegni economici, rendendola dipendente da figure maschili della famiglia.
Le fotografie d’epoca mostrano che il ruolo della donna variava. Nelle famiglie contadine, la donna poteva sedere al centro con il marito, mentre nelle famiglie borghesi spesso stava in piedi alle sue spalle. Nella comunità rurale, il processo di emancipazione delle donne tra gli anni ’60 e ’70 fu cauto: il timore di compromettere le possibilità di matrimonio o la reputazione familiare frenava comportamenti innovativi. Solo col tempo la comunità iniziò ad accettare i cambiamenti, permettendo alle donne di abbandonare le vecchie consuetudini di subordinazione.
Oggi, le donne sono libere di scegliere il proprio destino e carriera. Tuttavia, persiste l’ossessione maschile del predominio, e i governi non intervengono adeguatamente contro discriminazione e sfruttamento. Termini come “caporalato” e “femminicidio” ricordano che il percorso verso la giustizia sociale è ancora incompleto, e che le donne continuano a lottare contro umiliazioni e sofferenze secolari.
Mostra fotografica a Matera: protagonista il mondo contadino e le donne
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