COME NASCE L’IDEA: IL RACCONTO DELL’AUTORE CATALDO RIBECCO

Racconto di Cataldo Ribecco.

Racconto di Cataldo Ribecco, FONTE articolo:

 http://www.piazzanews.it/multimedia/gli-speciali-di-piazzanews/item/5616-la-casermetta-di-via-mazzini

Durante un incontro con il nuovo Coordinatore del C.A.P. di Ginosa, il Dott. Francesco Bianco, il Sig. Cataldo esprime i suoi pensieri e il suo entusiasmo iniziando a raccontare: «Io non sono un oratore, sono una persona semplice, per questo fatemi parlare a modo mio. Vorrei raccontare una parte significativa della mia storia, iniziando da tempi lontani. Mi disse una bambina: “Cos’è l’acciaio?”. Rimasi a riflettere. Come spiegare e farmi capire? La notte mi portò consiglio. Presi un televisore, lo smontai utilizzando solo l’abitacolo. All’interno misi dei fossili e dei minerali, nello sfondo posi un ingranaggio poi un maniglione, un perno e un truciolo del tornio. Quando feci la prima esposizione mi risultò facile spiegare che con minerali e fossili portati ad una temperatura di 1800 calorie, avveniva la fusione. 

 

Il presidente del circolo Italsider dell’epoca, insieme alla preside Maria Giannini, bandìrono una borsa di studio con la seguente tematica: “Industria e agricoltura”. Nacque l’idea di far conoscere il treno nastri, che presentai nel circolo Italsider. Damiano Mongelli era l’unico che mi ascoltava e mi disse: “Cataldo, solo persone tecniche ti possono ascoltare ma
se ti diletti nel campo agricolo le persone verranno a vedere le tue opere”.

Il museo della Civiltà contadina

Mi dedicai ad una serie di attrezzi agricoli e l’esposizione avvenne nel vecchio Municipio. Una coppia di giovani oltre ad osservare mi chiedeva delle spiegazioni. Per la prima volta incontravo Piero Di Canio e Lucia Miceli, oggi sposi; di li a poco entrai nella loro associazione. Con Piero si cominciò a parlare di un museo della Civiltà Contadina.
L’amministrazione Costantino non ci fece aprir bocca; ci offrì un’ala del Palazzo Strada, così iniziammo a sistemare tutti gli attrezzi agricoli e tutti gli utensili che avevamo in casa. Non trascurammo niente. Le mie miniature trovarono il posto ideale. Noi, promotori del nascente museo, facemmo una riunione per decidere la finalità della struttura.
Il nostro obiettivo erano le scuole e dunque, far conoscere ai bambini i tempi passati. Tutte le scuole ginosine parteciparono alla nostra iniziativa. Onestamente devo dire che ero impacciato nell’incontrare gli insegnanti; non dovevo sbagliare nel parlare. Dovevo spiegare correttamente ai bambini ciò che vedevano. Per me cominciò un mondo nuovo. Voglio pertanto citare tutte le persone che mi circondavano: Piero Di Canio, Lucia Miceli, Maria Pizzulli, Giuseppe De Stena, Cosimo Galante, Felicia Abbamonte, Antonio Pizzulli, Giuseppe Calabria, Prof.ssa M. Carmela Bonelli, Prof.ssa Luciana Ranaldo, Ugo Pascale, Damiano Mongelli, Nicola Tuseo, Prof. Giuseppe Ribecco, Prof. Antonio Cazzetta ed altri. Anche Stefano Giove e Adele Carrera: era l’inizio del  grande successo della Goccia, sulle cui pagine cominciarono a pubblicare alcuni miei racconti.

Il racconto prosegue con alcuni episodi

Voglio citare pochi episodi. Compresi la necessità di cambiare il mio modo di parlare, correggere il mio carattere, più di tutto capire ciò che gli altri dicevano. Facemmo una riunione nel Palazzo Strada e Piero Di Canio parlò dei miei racconti. Mi invitarono a scrivere e quando io esposi le mie difficoltà intervenne la Prof.ssa M. Carmela Bonelli, la quale mi incoraggiò e disse che l’importante era scrivere e che ella avrebbe limato, ma non cambiato, il mio modo di esprimermi.
Mi invitarono a fare un’altra miniatura. Mi parlarono di Girifalco che io non conoscevo; il problema era come farlo. Lo faccio in tufo pensai. La difficoltà era creare le attrezzature per lavorare il tufo.
Questa fu la parte difficile, ma alla fine costruii Girifalco in miniatura. Poi mi parlarono della Chiesa Madre. Se non fosse stata visibile all’interno non l’avrei fatta. Voglio provare, dissi, e la realizzai. Altri ricordi…
Il sentiero che porta alla Chiesa di S. Sofia non esisteva più. Piero, ideatore del progetto, disse che avremmo dovuto rifarlo. Così cominciammo a raccogliere delle pietre per la costruzione del muretto. Oggi si vede un sentiero per il quale furono impiegate 1700 ore di lavoro. Come soci di Legambiente, il nostro compito era anche piantare alberi per tutelare il territorio.
Dovevamo far conoscere ai ragazzi delle Scuole Elementari come si piantano gli alberi. Il luogo scelto fu il piazzale, dove in seguito fu posizionato Padre Pio (in via Palatrasio).

Continua..

Io con la zappa facevo il buco nel terreno, mentre la Prof.ssa Luciana Ranaldo metteva la piantina, che i bambini coprivano di terra. Ad un tratto sentii chiamarmi: “Cataldo!”. Luciana Ranaldo allungando il braccio mi dava il suo fazzoletto: “Asciugati il sudore!”. Mi fermai asciugandomi il sudore e lei aprì la borsa prendendo la sua bottiglia dell’acqua per farmi bere; eravamo accerchiati dai bambini che ci osservavano.
A casa raccontai il fatto a mia moglie, dicendole che avevo gridato a viva voce, ai sette venti, per dire che nel bosco ci sono anche le farfalle. Un gesto umano e un insegnamento ai bambini che ci circondavano; bellissimi ricordi. Sei molto brava, grazie Luciana. I miei figli mi regalarono il computer e così cominciai a scrivere. Quanti errori. Appena scrivevo una paginetta la portavo alla Prof.ssa Maria Carmela Bonelli. Più volte mi telefonava per chiedermi cosa significassero alcune frasi, che spiegavo puntualmente. Nacque un amicizia familiare e ci siamo scambiati delle visite. Terminati i due opuscoli Maria Carmela Bonelli telefonò a mia moglie dicendo di voler compagnia, perché voleva visitare tutti i luoghi da me citati. Con la macchina la prima tappa fu Peppariello e u Tuppu di màle cunzigghie. Poi ci fermammo a Torre Pantano; osservammo tutti i posti da me raccontati. Parlare di quel tempo cominciò ad essere difficile e mia moglie spiegò che ero emozionato. Era la verità, poi dovevamo far vedere l’ultima fitta di confine da me scoperta, con la scritta M.A.

La Masseria Orsanese

Io e Damiano Mongelli non eravamo stati in grado di capire quelle due lettere; quando le riferimmo alla Bonelli, si mise a ridere, e disse: “Si legge Masseria Alcanices, i proprietari di Girifalco. Quella fitta, l’ultima trovata, limitava il confine di Girifalco”. Arrivammo alla masseria Orsanese, proprietà di Dell’Osso. Questa negli anni ‘50 era stata una borgata per le famiglie che lavoravano il tabacco; a dir poco erano una cinquantina. Al fattore Napoli chiedemmo il permesso di visitarla e osservando tante porte aperte scoprimmo una Chiesa, nella quale entrammo. Mia moglie e la Bonelli si fecero il segno della croce. La Bonelli gridò: “L’ho trovato, è il mio S. Antonio. Un ricordo di bambina! Pensavo che fosse sparito”. Ci raccontò che da piccola l’aveva ammirato nella Chiesa di Marina di Ginosa. A chi piace conoscere la storia di questo S. Antonio c’è un suo scritto. Ritornammo a Ginosa. Ringraziare la Prof.ssa Maria Carmela Bonelli è troppo poco. Io sono un uomo fortunato ad avere un angelo custode. E non è poco. Grazie di cuore Maria Carmè. Alla chiusura del museo della Civiltà Contadina il gruppo cominciò a sciogliersi. Io e Piero rimanemmo attaccati a un filo di speranza, che nel giro di poco tempo si spezzò. Come dire mi trovai in mezzo alla strada. Due anni dopo aver festeggiato il cinquantesimo anniversario di matrimonio cominciarono i problemi in casa. I figli mi nascondevano la verità. Poi il tragico evento. Di notte, un temporale minaccioso mi oscurò la stella più bella dell’universo. Trascorrevo il tempo a giocare a carte, ma ero annoiato. Cominciai a parlare del tempo passato, ma parlavo al muro. 

Conclusione

Perdevo il contatto con gli amici; ero diventato un sacco vuoto in piedi. Dopo un anno dalla morte di mia moglie, nel Circolo ripresi a parlare di miniature. Gli amici cominciarono a incuriosirsi ed io dissi loro che se avessimo lavorato sul soppalco saremmo rimasti uniti e avremmo realizzato qualcosa di bello. Parlai del mio progetto a Katya Cifrese, responsabile della Cooperativa “La Serena”. Mi guardò incuriosita, non mi conosceva, ma infine ci diede il permesso. Il gruppo degli amici non aveva idea di come avviare il lavoro, così con pazienza cominciai a far capire loro come si lavora il tufo. La prima cosa su cui siamo stati tutti d’accordo è che il plastico sarà regalato alla Scuola S. Giovanni Bosco. È la prima scuola di Ginosa. È un pezzo di storia cittadina, inoltre il dott. Vincenzo Calabrese, che la dirige, è un appassionato della tradizione e della storia locale. Ho scritto tante pagine. Molte storie le ho raccontate, grazie all’incoraggiamento datomi da Maria Carmela e da altri. Ora però sento il bisogno di dire grazie, perché le loro parole hanno avuto per me il valore di quegli studi, che non ho mai potuto fare. In conclusione devo dire che quando entro nella Scuola S. Giovanni Bosco mi sento a casa mia: tutti gli insegnanti sono affettuosi e da loro voglio imparare ancora. Si. Ancora».

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